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La complessità della scuola media

Pubblicato il: 16/09/2010 17:33:00 -


Insegno in una scuola media della periferia di Napoli da diversi anni e sto preparando il concorso per dirigente scolastico. Sempre più mi vado convincendo che alcuni/molti dei comportamenti ribelli dei nostri allievi sono indotti non soltanto da dinamiche familiari ma anche da errori commessi dai docenti nelle relazioni che si svolgono in aula. A questo proposito ho provato a buttare giù alcune riflessioni.
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Come tutti sanno la scuola media statale è nata nel 1962 con il governo Fanfani che unificò in un unico corso la scuola di avviamento professionale e il pre-ginnasio, abolendo così una discriminazione odiosa che di fatto avviava i pargoli delle classi agiate verso il liceo e l’ università e i figli dei poveri verso le attività professionali e tecniche. La storica riforma prevedeva, tra l’altro, l’istituzione di classi differenziate per accogliere quei ragazzi che, provenendo da famiglie con genitori analfabeti, accumulavano un ritardo di apprendimento alle elementari così accentuato da non poter essere inseriti dal primo anno nelle classi normali.

Pur avendo cambiato denominazione in “scuola secondaria del primo ciclo” essa continua a interessare la fascia di età che va dagli undici ai quattordici anni. Si entra bambini in prima classe e si arriva all’esame di licenza con tanto di peluria sul viso o i seni già ben formati. Tutti gli psicologi sanno perfettamente che si tratta di un periodo molto difficile dello sviluppo sia dal punto di vista cognitivo che affettivo.

Piaget, Erikson, lo stesso Freud, solo per citarne alcuni, concordano nel definire questa età un periodo problematico durante il quale l’ambiente, il contesto familiare, il gruppo giocano un ruolo fondamentale. Riassumendo le opinioni di questi studiosi Renzo Canestrari nel suo compendio di psicologia, parla di passaggio da un pensiero concreto caratterizzato dalla percezione a un pensiero astratto caratterizzato dalla rappresentazione. È questo il periodo in cui il fanciullo elabora idee proprie e comincia a contestare i propri genitori con esiti che a volte possono risultare drammatici. Sul piano intellettivo è il momento dello scontro, delle discussioni, del no a tutti i costi; in profondità invece, nella sfera degli affetti e delle emotività si verificano dinamiche un po’ più complesse.

La fine del periodo beato e tranquillo della latenza (sei-undici anni, il placido navigare della scuola elementare) porta con sé una serie di conflitti e di ansie di notevole intensità. Il corpo cambia; la capacità di pensare, come si diceva, si fa più complessa, nasce l’esigenza di distruggere gli oggetti genitoriali interiorizzati e sostituirli con altri che rispecchino l’identità in costruzione. Il bambino si affaccia sul mondo per costruire nuove relazioni. È il periodo che gli esperti chiamano del gruppo omosessuale con i maschietti da un lato e le femminucce dall’altro: guerriglia fra i sessi, schermaglie, competizione. Ma c’è anche tanta curiosità, e soprattutto il bisogno di riparare l’energia negativa che il bambino si porta dentro e che nasce dall’aver messo in discussione gli insegnamenti, i divieti, le regole delle figure genitoriali. La lotta interiore che si verifica in questo stadio è molto più drammatica di quanto un adulto possa immaginare. Riemerge dalla primissima infanzia il processo definito dell’identificazione proiettiva per cui i genitori diventano i vasi contenitori di tutta la propria aggressività. A dodici anni l’adolescente sente forte il bisogno di trovare un oggetto esterno in grado di contenere la proiezione dell’odio; un adulto che sappia riparare questo sentimento negativo, sappia cioè restituirglielo risanato, accettabile. Nella quasi totalità dei casi è l’insegnante che si trova a svolgere questo compito immane: accogliere l’aggressività di un dodicenne in fuga dai suoi genitori, renderla accettabile per consentire al ragazzo di tornare in famiglia quanto meno smussato nel suo conflitto. Quanti professori della scuola media posseggono la competenza per svolgere questo compito ? Probabilmente nessuno, per lunghi anni la psicopedagogia è stata prevista soltanto nel curricolo dei maestri delle elementari e della scuola dell’infanzia. La maggior parte degli insegnanti della secondaria di primo grado non ha studiato psicologia dello sviluppo infantile; possiede soltanto un istinto straordinario, espressione di una adolescenza adeguata, o quantomeno vissuta in un ambiente familiare ricco di affetti. Basandosi sul buon senso e sull’esperienza il docente riesce nella maggior parte dei casi a cavarsela nel compito assegnatogli.

Il problema risiede nella “minor parte”, quei docenti cioè che operano di fronte a tali comportamenti devianti, una palese identificazione con i genitori dell’alunno. Ne fanno una questione personale, si potrebbe dire, credendo che il sentimento negativo sia rivolto contro di loro. “Questo ragazzo è troppo maleducato” affermano durante i consigli di classe, “mi manca di rispetto”, e giù note, rapporti, punizioni il cui unico effetto è di irrigidire il ragazzo che nella peggiore delle ipotesi finisce con il vivere l’esperienza tremenda di una adolescenza dissociale. In genere accade a bambini provenienti da un contesto familiare molto deprivato in cui si accumula un fortissimo senso di colpa dovuto al desiderio inconscio di “uccidere” i propri genitori proprio perché li si percepisce incapaci di svolgere il loro ruolo. Questo tipo di alunno arriva a scuola con una carica di aggressività particolarmente violenta perché sente il bisogno di essere punito, desidera inconsciamente il castigo, salvo poi rimettere in moto il processo appena si sente appagato e il senso di colpa ricomincia a bussare alla porta dell’Io cosciente.

È inutile dire che questo fenomeno è ben conosciuto da chi lavora nelle cosiddette scuole difficili della nostra regione. Anche il regista Antonio Capuana nei suoi film ci ha mostrato spesso protagonisti bambini in questo tipo di condizioni, (La Guerra di Mario, Vito e gli altri), ma non bisogna credere che la scissione profonda che sta alla base dell’adolescenza dissociale si verifichi solo nelle famiglie raccontate dal regista napoletano. Genitori troppo impegnati che lasciano i propri figli alle nuove babysitter di marca Sony o Nintendo (Playstation, Wii) determinano paradossalmente la stessa dinamica. La palla viene rimessa agli insegnanti delle medie che a volte, sia pur inconsapevolmente, sbagliano, trasformando questo ordine di scuola nell’anello debole della catena.

Bruno Caccioppoli

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